Le ragazze che non mangiano
“(…..) Fino a 14 – 15 anni ho avuto una vita tutto sommato normale.
Ero una ragazzina brava a scuola, ubbidiente, ordinata, carina… una ragazzina normale.
Eppure, a un certo punto, è successo. Cosa, esattamente?
Neanche’io saprei dirlo. Ma è successo.
Avrei potuto avere tutto, tutto quello che una ragazza normale potrebbe avere, ma non era abbastanza.
O, forse, era troppo.
Un giorno mi sono guardata allo specchio e non ho visto quel che avrei voluto vedere.
Il riflesso che mi rimandava non era quello che avrei voluto che fosse. Non mi piaceva. Non volevo essere quella me stessa. Volevo essere un’altra me stessa.
Non mi piaceva quel riflesso. Mi faceva schifo.
Se avessi potuto, avrei sputato su quel riflesso prima di rompere lo specchio e urlare, tanto mi detestavo. Avevo paura.
Così ho iniziato a sognare un’altra me stessa, di essere diversa, di essere felice, di essere libera.
Perciò ho detto basta. Basta a quella me stessa. Basta a quel detestabile riflesso (…..).
Sapevo che, per fare questo, avrei dovuto distruggere la me stessa dello specchio. Sapevo che sarebbe stata dura. Sapevo che sarebbe stato difficile. Sapevo che avrei dovuto mettere in gioco tutto e riuscire a controllarlo. Sapevo che si sarebbe trattato di camminare sul filo di un rasoio.
Ma sapevo anche quel che volevo: diventare perfetta.
Perciò ho iniziato a guardare dritta davanti a me giurandomi di diventare perfetta a qualunque prezzo.
Percorrendo quella che al momento mi sembrava l’unica via possibile.
Così ho iniziato. Senza neanche rendermene conto, senza sapere quello che stavo facendo, sono scivolata nella spirale discendente dell’anoressia. (…).”
Questa testimonianza racconta della nascita di un disagio che sembra avere un inizio preciso in un giorno preciso: il momento in cui si dice “basta” e si decide di cambiare.
In realtà il disagio inizia a insinuarsi in queste giovanissime donne (per lo più) molto tempo prima e solo dopo mesi e settimane acquista dimensione, volume, spazio nella mente e si impone come l’unica e sola cosa per cui vale la pena vivere e lottare: ridurre il peso, appiattire le curve, annientare gli stimoli biologici della fame e la voglia di sapori accoglienti e golosi… L’unica cosa a cui si pensa è il raggiungimento di un’immagine assolutamente diversa da quella riflessa dallo specchio.
Si inizia con l’eliminare i dolci, la merenda pomeridiana, si evita di prendere cibo al bar della scuola… E poi via via la colazione, il pane, la pasta… Qualunque scusa è buona per non mangiare.
Non appena ci si accorge che questi piccoli cambiamenti hanno sortito l’effetto voluto, la carica mentale e l’energia fisica che invade corpo e mente è tale da indurre – come per effetto di un’incredibile e diabolica droga- altre strategie per evitare altro cibo; bugie, sotterfugi che nascondono il cibo non mangiato, il corpo dimagrito, il segreto gelosamente celato nella propria mente.
Il desiderio di migliorare il proprio corpo è spesso insito nel traguardo dell’adolescenza, momento fisiologico di grande cambiamento fisico, mentale, sociale; nella società che ci appartiene la generosità dei consumi, la disponibilità di cibo, le ripetute occasioni e persino il cambiamento dei significati e dei simboli correlati al cibo, sono tanti e tali da trovare molte ragazzine, alla soglia dell’adolescenza, con un fisico spesso appesantito, gonfio, che a stento è contenuto in abiti succinti anche se estremamente uguali e di tendenza.
Modelli estetici, stereotipi musicali e del mondo dello spettacolo dettano misure, forme, aspetto fisico a cui aderire, a cui assomigliare per essere dentro al gruppo, sentirsi parte di un sistema che fa stare bene.
Ma se il desiderio di essere diversi da ciò che lo specchio riflette può risultare un passaggio doveroso, obbligatorio e a volte anche sano per cercare lo stimolo in se stessi e migliorarsi….. A volte capita che la cosa prenda la mano e questo desiderio diventi la causa di una malattia che tutto include e travolge.
Perché ciò accada è necessario la compresenza di molti fattori (genesi multifattoriale) alcuni pregressi rispetto all’insorgenza della malattia (fattori predisponenti) e altri verificatisi a breve distanza di tempo dalla comparsa dei sintomi (fattori precipitanti o scatenanti).
I sintomi, i segni e le manifestazioni del fortissimo disagio che caratterizza un disturbo alimentare sono lenti subdoli, progressivi…Inizialmente colti positivamente anche dal contesto familiare: eliminazione del cibo-spazzatura, inserimento di verdura e frutta nella propria alimentazione, inizio di un’attività fisica, perdita di qualche chilo ritenuto di troppo anche dai genitori.
In seguito i comportamenti diventano sempre più diversi dal solito: chiusura, silenzio, mistero, bugie… Cibo sbriciolato, tagliuzzato, sprecato, buttato… Vestiti sempre più larghi, lenti, grandi, per un corpo di cui non si sa spesso molto bene come sia diventato sotto ad abiti divenuti troppo abbonanti.
La mestruazione non scandisce il tempo che passa… Pallore, freddo, sonno agitato e irrequieto, come irrequieta e triste e sola e spenta e concentrata solo su stessa è diventata la propria “bambina” o ciò che di lei resta.
Quali sono gli strumenti e quali le strategie per evitare, per arrivare in tempo, per capire presto?
Non esistono purtroppo formule magiche, comportamenti sempre veri e sempre giusti.. Ogni individuo pur percorrendo la stessa strada che conduce a un disturbo alimentare risponde e reagisce in modo diverso alle preoccupazioni e alle sollecitazioni dei genitori che trovano capacità e coraggio per osservare che qualcosa di molto importante è cambiato.
Non perdere di vista la propria figlia (o il proprio figlio) anche se grande, se brava a scuola, se coscienziosa e indipendente… Continuare ad interessarsi del suo corpo, del suo peso…
Alimentazione, peso, funzionalità intestinale, mestruazioni, qualità del sonno, devono rientrare nelle preoccupazioni anche dei genitori di figli “grandi”.
Non pensare che l’andamento scolastico positivo sia il “parametro” unico per poter credere che “tutto va bene”.
Non sostituirsi al Medico quando emerge che il malessere del proprio figlio riguarda il cibo e il peso…
Non sottovalutare.
Non banalizzare.
Cercare informazioni adeguate e competenti. Farsi aiutare.